giovedì 19 aprile 2012

pensierino del giorno-19/04/2012

solita routine mattutina, poi davanti a sè le scale che conducono alla metropolitana. solito tragitto, solita giornata piatta in ufficio. e il mattino successivo sarebbe stato uguale.
la sera prima aveva visto un film dove un tale sbroccava e riusciva a cambiar vita. perchè lui no?
in fondo, non amava sua moglie. forse l'aveva amata un giorno, lei neanche quello.
consultò l'orologio: a spanne, l'amante doveva aver appena parcheggiato l'auto sotto casa, poi si sarebbe guardato intorno con fare circospetto e infine avrebbe citofonato, pronto a scattare nell'androne una volta aperta la porta. un vero peccato che avesse dovuto gettare la sua auto il mese prima a causa di una notevole quantità di zucchero nel serbatoio.
la collega con la quale aveva tradito sua moglie - oh, quale brivido di vita pura - era stata trasferita dopo due giorni. le sue corna invece andavano avanti da alcuni anni senza problema alcuno.
iniziò a scendere quei gradini così familiari, lentamente. si avvicinava al tornello e il sudore si faceva sentire sulla sua fronte, salivazione azzerata. andando a destra, nulla sarebbe cambiato. andando a sinistra, nulla sarebbe stato più lo stesso.
in tasca aveva il portafoglio con dentro carta di credito e bancomat, più alcune banconote di medio taglio. sufficiente per sopravvivere una settimana almeno.
fare tutto a occhi chiusi sarebbe stato più facile per la sua coscienza, ma di sicuro si sarebbe stampato contro il muro, quindi si fece violenza e li tenne aperti. il cuore scandiva il ritmo dei suoi passi mentre passava l'abbonamento e il bip meccanico annunciava l'apertura del cancelletto.
perchè tutta questa fretta? farlo domattina avrebbe cambiato di poco la sostanza; già, che senso aveva quest'improvvisa ansia? anzi, così facendo avrebbe trovato il tempo per progettare meglio il tutto ed essere meno intimorito.
no, no. procrastinare vuol dire morire.
sinistra.
quattro fermate, poi fuori. fra tre minuti lo aspettavano in ufficio, ma difficilmente qualcuno avrebbe preso nota della sua assenza. amava definirsi il tipico elemento che si confonde con la tappezzeria e nessuno si era mai preso il disturbo di dargli torto.
viale alberato, terza a destra e poi quattro isolati. palazzo in stile liberty, chissà quanto costava l'affitto di un appartamento al quinto piano con vista su tutta la città. un paio di mesi del suo stipendio probabilmente.
il dito prese l'iniziativa e suonò il campanello. la voce femminile era argentea e squillante come se la ricordava, un soffio di felicità a ogni respiro. ascensore, quinto piano.
la investì con le parole partendo da adamo ed eva, un discorso improvvisato e anche male. iniziò da quando lei fece a metà della sua cioccolata e di quanto la amò in segreto al liceo, cocente passione distrutta ogni giorno dal vederla ridere alle battute di qualcun altro.
la mia vita fa schifo, le disse, scappiamo. insieme.
lei rise poi dalla sua espressione capì che era serio. tacque, s'incupì. una mano tra i capelli ancora folti e voluminosi, colpo di tosse per schiarire la voce. era così forte e sicura di sè che lo fissava in volto, lui non aveva ancora tolto lo sguardo dallo zerbino.
non posso, cercò di rispondere nel tono più soave possibile, la mia vita è qua e io sono felice. mi...
non terminò la frase, era già in fondo alle scale.
lei è felice, io no. io ho perso.
il tutto era durato così poco che sarebbe arrivato al lavoro in ritardo di neanche un'ora. a che pro?
camminava con un'andatura svelta verso la metro, veloce prima che il coraggio lo salutasse per l'ennesima volta, lasciandolo fermo in mezzo alla strada come un pirla.
scese gli scalini, bip, non guardò neanche la direzione da prendere, cercò solo il primo convoglio in arrivo; sentiva il rumore sulle rotaie, la voce dell'altoparlante ricordava di non oltrepassare la linea gialla mentre lui si faceva avanti. poi il buio.

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