giovedì 9 maggio 2013

pensierino del giorno-02/05/2013

alcune date, per un motivo o per un altro, non si dimenticano.
episodi legati alla propria vita, a quella dei propri cari, fanno subito scattare qualcosa in noi. oppure date legate a eventi storici di una certa rilevanza dei quali è bene ricordare ogni anno l'anniversario, nel bene o nel male.
poi ci sono quelle assolutamente inutili, e sono le più forti.
il nove maggio di un anno fa, in un campo di calcio a cinque lungo le rive del fiume po a torino si compiva una grande impresa sportiva. si tratta di quelle gesta noiose da raccontare per chi non le ha vissute, eppure dall'inestimabile valore per chi le ha compiute; è talmente difficile spiegare agli altri ciò che si prova che perfino scriverlo risulta ostico, ben sapendo che queste parole non riusciranno a veicolare l'esplosione, la pelle d'oca, la gioia, l'allegria, che qualcuno ha provato quella notte.
nella vita ci son persone che pur di vincere farebbero qualunque cosa, come per esempio schierare una squadra semi-professionista nella finale di un torneo di sgarruppati, pensando che in fondo se han battuto in semifinale una squadra quasi al loro livello non avranno alcun problema nel giungere alla conquista del trofeo. è qui che si annida l'errore di un calcolo basato su freddi numeri, sull'errata convinzione che due più due faccia sempre quattro. per fortuna di noi scarsi esiste gente che ragiona ancora così, altrimenti non avremmo speranza.
è lecito chiedersi se da qualche parte esista la pozione magica preparata dal druido panoramix per asterix e obelix e la risposta a questo punto è sì, giace dentro ognuno di noi, solo che bisogna essere in grado di scovarla e volerla davvero utilizzare, far sì che possa decuplicare le proprie forze, esattamente come accadeva ai galli quando andavano a combattere contro i romani e risolvevano la questione a cazzotti. dicono che sia il cervello l'organo più complesso del nostro corpo, però non mi trovano d'accordo. è la forza del cuore, dell'intensità con la quale pompa il sangue nelle arterie a rappresentare il più grande buco nero della scienza. l'insondabile sta lì. tutto il resto, o quasi, si può spiegare.
accadde che in un giorno di settembre a uno col naso grosso venne voglia di fare una squadra e tentare un torneo. idea pazza gli dissero, anche perchè devi selezionare la gente, mica puoi ficcarci gli amici tuoi a caso e pensare di riuscire pure a classificarti decentemente.
serviva a quel punto una figura di riferimento, un uomo tutto d'un pezzo, votato alla disciplina e al rigore (non calcio di, come scopriremo più avanti) più assoluti. il capitano. una sorta di discobolo di fidia del ventunesimo secolo, l'ipostatizzazione del concetto di eroe nella mitologia greca.
l'insegnamento base del calcio è dato da nereo rocco, quindi si basa tutto sulla difesa ed è dunque necessario trovare un portiere, uno che il calcio a cinque lo conosceva solo per sentito dire ed era abituato a ben più ampi spazi da difendere. ma si prestò senza problemi.
occorreva intimorire gli avversari, perciò ecco la giusta via di mezzo tra un macellaio e un serial killer, un uomo che faceva del cartellino giallo per protesta una vocazione.
in ogni squadra serve pure quel pizzico di sregolatezza, la fantasia al potere, il genio ribelle, colui che si spegne la cicca sui tacchetti un secondo prima di entrare in campo, quello al quale non si possono far vedere degli schemi perchè gli si riempie il corpo di pustole rosse e gioca anche d'estate con un berretto di lana calcato sugli occhi.
non sarebbe una rosa degna di tale nome se fosse priva del centravanti boa, il perticone messo in mezzo a spizzar palloni, anche se a calcetto in teoria non servirebbe giocare a lanci lunghi, anzi è caldamente sconsigliato.
cosa poteva mancare? il goleador, colui che vive in funzione dell'umiliazione del portiere, che ha sentito parlare della difesa qualche volta alla tv e incontra il proprio portiere solo negli spogliatoi.
infine, quando tutto sembra ultimato, ecco che all'accorto direttore sportivo vengono due flash: serve un presidente, finanziere maneggione capace di dare ossigeno alle magre casse della compagine, e un ultimo giocatore per le rotazioni, quello che arriverà sempre con una maglia diversa e tapperà i buchi alla bisogna.
quando una simile armata brancaleone giunge alla finale appare dietro l'angolo la debacle in un senso poco decoubertiniano del termine, specie quando si va sotto per uno a zero.
invece uno, due, tre, alla fine del primo tempo addirittura possono contare due gol di vantaggio.
sembra fatta, ed è qui l'errore, perchè come polli quali sono subiscono la più classica delle rimonte. subentra la paura di giocare, la tensione dovuta all'importanza del palcoscenico e a nulla serve il sostegno del numeroso pubblico.
c'è bisogno del miracolo, della cosa che statisticamente può accadere una volta nella vita, dato che a un minuto dalla fine si può sperare in questo o nient'altro. quello coi piedi più quadrati inventa una parabola perfetta e il lungo si accartoccia per colpire di capello (pensate fosse stato calvo!) e la palla beffarda s'insacca alle spalle del portiere.
parità.
seguirà lo stillicidio dei calci di rigore, dove emergerà soprattutto l'istinto di chi fu chiamato a difendere i pali e rispose presente!.
della festa finale narrarono le cronache di molti aedi e per fortuna non le multe dei vigili urbani, tuttavia giunti a un anno di distanza è giusto celebrare chi ebbe il coraggio di credersi più forte della realtà e andò a conquistarsi un posto nell'olimpo di torino.
lunga vita ai merenderos, ovunque essi siano.

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