giovedì 15 maggio 2014

pensierino del giorno-15/05/2014

Percorse sulla punta dei piedi il pavimento fino alla sua parte del letto e s’infilò rapidamente sotto le coperte alla ricerca di lui. Completamente nudo, giaceva immobile sulla schiena, lasciando scoperto il corpo dalla vita in su. Lei aveva già chiuso gli occhi, a quel punto non le occorreva più l’ausilio della vista; la sua memoria muscolare l’avrebbe ricondotta nella sua posizione preferita, con la testa adagiata tra la spalla e il torace di lui, i corpi quasi a contatto, separati da pochi centimetri. Lui allargò il braccio per permetterle di sistemarsi, poi la strinse a sé mentre lei con una mano lo cingeva e ne auscultava il perfetto ritmare del cuore.
Un colpo dietro l’altro, pompava con la controllata regolarità di un atleta impegnato in una gara di resistenza. Il petto si alzava e si abbassava e la sua mano ne seguiva il movimento.
Come diavolo fa, si chiese, a restare così tranquillo, imperterrito, glaciale, come fa a non accorgersi della tempesta che mi si sta scatenando dentro?
Il contrasto tra la propria inquietudine e il suo respiro senza affanni la innervosiva. Perché, perché? Eppure al massimo i ruoli avrebbero dovuto esser capovolti, non doveva andare così. Aveva programmato dal principio ogni singola mossa, ma non questa, ora le sembrava di lanciarsi in battaglia senza uno scudo.
Spostò la mano, cercando a tastoni la sua. Le dita si trovarono e si avvilupparono in una danza tutta loro, cercandosi ed esplorandosi come se fosse la prima volta. Quando furono stanche di lottare si lasciarono andare spossate e senza alcuna forza, ma intrecciate in un nodo che appariva indissolubile. A quel punto riaprì gli occhi e lo vide con la mascella serrata, lo sguardo fisso in un punto poco oltre il cassettone di legno dozzinale. In una frazione di secondo però lui percepì che lei aveva iniziato a fissarlo e spostò la visuale sulle mani. Poi di nuovo oltre il cassettone.
Lei gli baciò il primo punto di pelle che trovò vicino alle sue labbra, senza sapere cosa fosse, ma facendo uno schiocco forte e un po’ artificioso per attirare la sua attenzione. Tutto quello che ottenne, invece, fu una carezza sulla guancia con la mano che fino a un secondo prima le accarezzava dolcemente i capelli. Nemmeno mosse la testa. E lei che pensava fosse un riflesso involontario girarsi verso una persona che ti dà un bacio, di qualunque tipo sia. No: fermo, in pace col mondo, imperturbabile. Decise allora di farsi più vicina, portò il bacino a toccargli l’anca mentre le gambe si facevano largo tra le sue per incastrarsi le une nelle altre.
Nonostante avesse solo le gambe sotto le coperte lui irradiava calore per tutta la stanza, un calore dal quale lei non riusciva ad allontanarsi e racchiusa nelle sue braccia si crogiolava in quella sicurezza che li isolava dal resto del mondo. Dimenticava perfino dove fossero, certamente fuori dal tempo, con ogni probabilità anche dallo spazio perché avrebbero potuto trovarsi ovunque e in nessun luogo e non avrebbe fatto la benché minima differenza. Sempre più risoluta a cercare la sua attenzione tirò via le coperte mostrando a entrambi le nudità dei propri corpi, a riposo dopo una battaglia che non aveva visto perdere nessuno. Questo gesto sortì l’effetto desiderato, lui girò la testa verso di lei e sorrise, ricambiato, quindi alzò leggermente la schiena, quel tanto che bastava per sfiorarle con le labbra la punta del naso. Poi ritornò nella sua posa tombale ricoprendosi fino alla vita; mosse leggermente le labbra, come se stesse riordinando le idee prima di dire qualcosa, e in quell’istante il cuore di lei ebbe un sussulto – e se avesse scoperto il suo segreto?–, ma fu smentita dalle sue parole: «Perché non possiamo diventare pirati?» e proseguì, sempre fissando quel dannatissimo cassettone, «voglio dire, pirati cavallereschi. Punteremmo solo ai vascelli battenti bandiera europea, chiederemmo loro un congruo prezzo per risparmiare le vite umane e ci allontaneremmo con un inchino togliendoci il cappello a tricorno mentre quei parrucconi restano lì impalati a guardare la nostra goletta allontanarsi.»
Mentre pronunciava quelle parole si rese conto di tutto. Il corpo di lei si era fatto rigido, con i piedi aveva smesso di cercare i suoi, stava solo aspettando la fine del discorso per intervenire e tirar fuori la burrasca: «Sarebbe bello e suggestivo. Forse all’inizio potrebbe pure funzionare. Ma poi ti abbandonerei nottetempo portandomi via la metà dei dobloni», «non uno di più­», ci tenne a precisare.
Lui capì che le aveva dato la certezza di esserci, giano bifronte dei rapporti che rappresenta tanto l'aspirazione quanto la fine di ogni cosa perchè quando sopraggiunge non c'è più ricerca, tensione, lotta, scontro, tutto si appiattisce nella normalità e nella consuetudine. Si diventa scontati. Desideriamo solo quel che non abbiamo e lei ce l'aveva, o pensava di averlo. Il suo destino era segnato, sarebbe finito nella stessa cesta dei vecchi giocattoli dagli occhi neri e inespressivi.
Dopo alcuni interminabili istanti di silenzio lei riprese la parola: «Sai, forse un giorno le nostre rotte si incroceranno di nuovo e allora spareremo un colpo di cannone per salutarci», ma non ottenne alcuna risposta, lui non ribattè, anzi mantenne la propria compostezza. Fu questo che la fece innervosire, si stizzì proprio della sua mancata reazione e mentre vedeva i suoi talloni uscire per l’ultima volta dalla porta pensò che non le sarebbe neppure mancato.

Sul momento provò col cuscino a ricreare la forma del suo corpo, ma non andava bene, gli mancava il respiro, voleva sentire la pelle nuda scattare a ogni contrazione del cuore e non quel piatto cotone monocromatico. Dopo aver invano provato a prendere sonno si alzò e andò a fare colazione, o pranzo, non avendo la minima idea di che ora fosse.

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