venerdì 26 febbraio 2016

pensierino del giorno-26/02/2016

nel mese di febbraio dello scorso anno scrissi solo cinque pensierini. decisamente pochi, ma del resto era un periodo di crisi creativa e totale abbandono del blog, per cui avevo proprio perso l'abitudine di riversare le mie elucubrazioni su queste pagine.
sicuramente non una grande perdita per la letteratura mondiale, però mi spiace non rintracciare neanche un piccolo ricordo di quello che accadde precisamente un anno fa.
dovendo essere pistini, bisognerebbe rilevare che non iniziò il ventisei febbraio duemilaquindici, bensì il giorno prima, quando partimmo in macchina alla volta di bilbao.
milleduecento chilometri con tappa e pernottamento a tolosa, ove avemmo la brillante idea di non fare cena e bere soltanto come draghi perchè, si sa, la birra sazia.
a bilbao c'era una tipica giornata da inverno basco: temperatura non particolarmente rigida, cielo grigio e pioggia leggera ma continua. si arrivava dal due a due dell'andata, un risultato che condannava a vincere o a pareggiare facendo almeno tre gol, che significava giocare in ogni caso una partita all'attacco, quindi una cosa quasi impossibile per chi ha tifato toro tutta la vita, sappiamo benissimo che quelle sono le partite che falliremo come dei gonzi, non a caso abbiamo già regalato praticamente l'intero secondo tempo all'andata.
però chissenefrega.
chissenefrega del risultato, intendo.
il lemme avvicinamento alla città straniera, chilometro dopo chilometro, a ritmo di musica e bottiglie di birra, per una partita a eliminazione diretta, è una sensazione di per sé impagabile; il passaggio delle frontiere scandisce le tappe di un percorso che conduce verso un nirvana di gala che c'eravamo perfino dimenticati di sognare. quando dall'autostrada sbuca il profilo della città basca, porta con sé la consapevolezza di essere finalmente giunti a esplorare qualcosa d'ignoto, novanta minuti col cuore in gola a fare calcoli sui gol fatti e subiti, sapendo che ogni azione può essere quella da cui dipenderà il nostro destino.
che sia una trasferta anomala lo si può intuire fin dalle vie che portano allo stadio, dove i tifosi delle due squadre bevono e chiacchierano amabilmente insieme, senza che vi sia la minima traccia di ostilità nell'aria. non è che sia bello o brutto, è semplicemente strano. sembra una visita, manca qualcosa della trasferta che avevamo conosciuto da ragazzini, manca il brivido della tensione, quella paura latente del ritrovarsi in mezzo agli avversari. qua no, qua si inizia a trincare l'amaro portato da casa fin da metà pomeriggio, nonostante la partita sia alle nove di sera.
a colpi di baretti, si arriva sulla via che porta allo stadio. s'intravede lo stemma dell'athletic tra le file ordinate di case, che spunta luminoso nella notte scura.
raccontare la partita non avrebbe senso, basti sapere che neppure nel più spinto dei miei sogni erotici avrei potuto tratteggiare una vicenda simile e così goduriosa. è la sublimazione della sessualità, il distacco dell'uomo dalla donna: c'è qualcosa che va oltre il piacere carnale eppure riesce a soddisfare ancora di più, pervade le membra e ogni capillare, sposta fuori dal tempo e dallo spazio e ricolloca chi lo prova in una dimensione invisibile agli altri, ma percepibile da chi l'ha vissuta almeno una volta in vita sua.
nonostante le difficoltà di concentrazione dovute all'alcool ingurgitato prima della partita, ho cercato di catturare ogni momento possibile nella mia memoria, in modo da poterlo rivivere con calma una volta tornato in italia. tra le tante istantanee, più o meno determinanti, c'è quella del gol definitivo tre a due per noi: dopo una prolungata azione sulla sinistra, el kaddouri trova lo spazio per un cross di sinistro che sembra leggermente lungo e arretrato. vittime dell'emozione, gli spettatori tengono lo sguardo incollato sulla palla, ed è solo con la coda dell'occhio che riescono a scorgere il perfetto inserimento di darmian sul secondo palo.
apre il piattone.
la palla rimbalza davanti al portiere, proteso in un vano tuffo.
la traiettoria non mente.
non saprei dire, anche a un anno di distanza, se quello sia l'urlo che avevo cacciato in gola da sempre, spinto ancora più in profondità da quella tragica notte di firenze, davvero non sono in grado di stabilirlo con sufficiente certezza. quello di cui però sono sicuro è che ho sentito il petto espandersi e sono piombato in uno stato di comatosa e trasognante felicità che mi è rimasto appiccicato per tutta la serata e per i giorni successivi, fino al ritorno a torino. un'euforia che non vuol saperne di staccarsi dalla pelle, di cui si riesce a respirare l'odore e persino a intravedere la forma.
è stato tutto dannatamente perfetto.
secondo me è stato in quel momento che siamo stati eliminati. purtroppo, la giusta gioia è stata trasmessa dai tifosi ai giocatori, ed è arrivata loro anche la sensazione nemica di ogni sportivo, quella della pancia piena.
dicono che chi si accontenta gode, così così.
si vede che è stato quello l'errore, ma davvero non riesco a rimproverarmelo, né a rimproverarlo ad altri. ho provato una sensazione che temevo fosse riservata ad altri. forse è lì che dentro di me qualcosa s'è incrinato, anche se non son riuscito a capirlo prima che fossero trascorsi diversi mesi.
non so se abbia proprio smesso di tifare per il toro, ma bilbao ha davvero cambiato qualcosa, regalandomi la notte più bella della mia vita e prendendosi in cambio la fine di una passione.

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